Saruman e la propaganda spacciata per verità

Nelle storie di Tolkien non c’è solo il Nemico che palesemente mostra la volontà di potenza e sopraffazione, magari alleggerita da parole seducenti per attirare verso il male; possiamo anche trovare un vero “teorico della giustezza della parte vista ingiustamente come malvagia”, e questi altri non è che Saruman, il capo dell’Ordine degli Stregoni.

Spesso, nelle letture critiche dei personaggi di Tolkien, Saruman viene visto come colui che tradisce la parte giusta e passa dalla parte del Nemico, forse influenzati in questo dalla visione che viene data di lui nel film o da una lettura poco attenta.

In realtà, Saruman è molto di più.

Egli rappresenta quella categoria, ben diffusa nella storia dell’uomo, ma concentrata negli ultimi due secoli, che teorizza la presunta superiorità morale di una categoria di persone- gli Stregoni in questo caso- che devono farsi strada nel mondo e verso il potere e il controllo, abbandonando per sempre “ i nostri amici, deboli o pigri”, accusati di ostacolare o intralciare il corso degli eventi.

Saruman possiede, o crede di possedere, una sorta di visione superiore delle cose, con la quale egli giustifica ogni tipo possibile di nefandezza e crimine, ogni “cambiare idea o partito”. Egli è molto più di un traditore, è un vero antesignano dei politici totalitari che portano morte, distruzione e miseria, che riescono ad attrarre folle e consensi attraverso la loro eloquenza e la loro capacità di creare visione nella mente delle persone.

Tolkien ci ha regalato grandi pagine per mostrarci questa capacità e queste caratteristiche di Saruman, soprattutto in due passaggi.

La prima scena nella quale ce le mostra avviene all’interno del racconto che Gandalf fa, ne La Compagnia dell’Anello, riguardo al suo ritardo nel raggiungere Frodo: il Grigio era stato fatto prigioniero da Saruman, dopo essersi rifiutato di allearsi con lui e Sauron e di consegnare l’Anello al Nemico.

In questo pezzo, magistralmente orchestrato, vediamo come Saruman giustifica il suo cambio di casacca: “I Tempi Remoti non sono più. I Giorni Intermedi stanno passando. I Giovani Giorni stanno per incominciare. Finito il tempo degli Elfi, la nostra ora è vicina: il mondo degli Uomini che dobbiamo dominare. Ma abbiamo bisogno di potere, potere per ordinare tutte le cose secondo la nostra volontà, in funzione di quel bene che soltanto i Saggi conoscono. Ascoltami, Gandalf, vecchio amico e collaboratore! […] Ho detto noi, perché così sarà se ti unirai a me. Una nuova Potenza emerge. Inutili sarebbero contro di essa i vecchi alleati e l’antico modo d’agire. Non vi è più alcuna speranza per gli Elfi, o per i Numenoreani morenti. Questa è dunque la scelta che si offre a te, a noi: allearci alla Potenza. Sarebbe una cosa saggia, Gandalf, una via verso la speranza. La vittoria è ormai vicina, e grandi saranno le ricompense per coloro che hanno prestato aiuto. Con l’ingrandirsi della Potenza anche i suoi amici fidati s’ingigantiranno; e i Saggi, come noi, potrebbero infine riuscire a dirigerne il corso, a controllarlo. Si tratterebbe soltanto di aspettare, di custodire in cuore i nostri pensieri, deplorando forse il male commesso cammin facendo, ma plaudendo all’alta méta prefissa: Sapienza, Governo, Ordine; tutte cose che invano abbiamo finora tentato di raggiungere, ostacolati anziché aiutati dai nostri amici deboli o pigri. Non sarebbe necessario, anzi non vi sarebbe un vero cambiamento nelle nostre intenzioni; soltanto nei mezzi da adoperare”.

La potenza nelle parole di Saruman è evidente, così come la loro presunta ragionevolezza per menti abituate a scelte di comodo e ciniche: Gandalf naturalmente rifiuta, giustamente obiettando che “una mano sola alla volta può adoperare l’Unico, e lo sai bene; non darti dunque la pena di dire noi!”

Una maniera sferzante e ironica di rifiutare, quella di Gandalf, ma naturalmente c’è dell’altro: la profonda consapevolezza che gli Istari sono giunti nella Terra di Mezzo con uno scopo ben preciso, quello di allontanare le menti dei Popoli Liberi dall’Ombra e da Sauron: non si era mai parlato di crearsi un proprio domino, di coltivare sogni di grandezza o di voler gestire il mondo attraverso “sapienza, governo, ordine”: una frase melliflua, quest’ultima di Saruman, tipica della propaganda spacciata per verità, che in realtà nasconde altre tre parole, quelle vere: pensiero unico, tirannia, eliminazione delle voci dissenzienti.

Saruman ha sì tradito, ma non semplicemente la parte “giusta”, ma sè stesso, ciò che era, il suo scopo e tutta una vita. Un doppio tradimento, come spiega Gandalf a Gimli ne le Due torri: una risposta rapida, quella di Gandalf al Nano, che solo ora possiamo comprendere, analizzando quest’aspetto del tradimento di Saruman.

La propaganda spacciata per verità, caratteristica di Saruman, emerge potentemente ne le Due Torri, però, nel capitolo X, “La voce di Saruman”, nel quale cerca di convincere coloro che lo hanno sconfitto, cercando di cavarsela attraverso la distorsione della verità sperando che la sua voce, famosa per la sua capacità di convincere, avesse conservato il suo potere.

Prima di vedere nella pratica questo tentativo, leggiamo la magnifica descrizione che Tolkien dà della voce di Saruman, in uno dei passi più belli di tutte le sue opere: “Improvvisamente si udì un’altra voce, lenta e melodiosa, il cui suono era già di per sé un incantesimo. Coloro che l’ascoltavano imprudentemente, di rado riuscivano a riferire le parole che avevano udito, e se vi riuscivano rimanevano stupefatti, perché sembravano spoglie di qualunque potere. Rammentavano soltanto, di solito, che era una delizia ascoltare quella voce, e che tutto ciò che essa diceva pareva saggio e ragionevole: nasceva allora in essi il desiderio di sembrare anche loro saggi, accondiscendendo rapidamente”. 

Con questo potere, così affascinante nella sua descrizione, non era facile combattere, e infatti vediamo che, quando Saruman si rivolge a Thèoden di Rohan molti dei suoi uomini, e forse il Re stesso, cascano in quella trappola.

Ma leggiamo tutto il passo in questione, che non necessita di molte spiegazioni:“Ma quanto a te, Théoden, Sire del Mark di Rohan, ti riconosco dai nobili ornamenti e ancor più dallo splendido aspetto che contraddistingue la Casa d’Eorl. O valoroso figlio di Thengel dalla Triplice Nomea! Perché non sei venuto prima, e in qualità d’amico? Da tempo desideravo vederti, o più potente dei re occidentali, e in particolar modo in questi ultimi anni, onde salvarti dagli imprudenti e malvagi consigli che ti assillavano! È già forse troppo tardi? Malgrado tutte le offese che mi sono state fatte e alle quali, ahimè, gli Uomini di Rohan hanno preso parte, io potrei ancora salvarti, e proteggerti dalla disfatta che si avvicina inevitabile se prosegui lungo il sentiero che hai preso. Sono davvero il solo che possa aiutarti». Théoden aprì la bocca come per parlare, ma non disse nulla. Levò lo sguardo su Saruman che lo fissava con i suoi profondi occhi solenni, e poi lo volse su Gandalf al suo fianco: sembrava esitare. Gandalf non si mosse; rimase immobile e silenzioso come pietra, come chi attende pazientemente che venga chiamato il suo turno. Sulle prime i Cavalieri si agitarono, mormorando la loro approvazione per le parole di Saruman, e poi tacquero anch’essi, soggiogati dal sortilegio. Parve loro che mai Gandalf si fosse rivolto al loro sire con parole così splendide e appropriate. Duri e orgogliosi apparivano ora tutti i suoi discorsi fatti a Théoden; nei loro cuori incominciò a penetrare un’ombra, il timore di un grande pericolo: la fine del Mark in un oscuro baratro ove Gandalf li stava conducendo, mentre Saruman schiudeva la porta della salvezza, dalla quale entrava un raggio di luce. Seguì un momento di pesante silenzio”.

Come si vede, Saruman aveva ancora il suo potere, e riuscì per un attimo a confondere le menti, nonostante in seguito Eomer e Gimli ribattano pesantemente ai tentativi dello Stregone di cambiare la realtà; e il Bianco rincara la dose qualche attimo dopo, con un discorso – rivolto sempre a Thèoden- che è un vero capolavoro di propaganda politica, nel quale egli ribalta spudoratamente la realtà, non diverso in questo da tanti governanti del mondo reale, che tentano di nascondere massacri, colpe o genocidi: “Ma mio sire di Rohan, devo sentirmi chiamare assassino perché dei valorosi sono caduti in combattimento? Se mi fai guerra, e inutilmente (poiché io non lo desideravo) è inevitabile che vi siano dei morti. Ma se per questo m’incolpate d’assassinio, allora tutta la Casa di Eorl è macchiata del medesimo crimine; ha infatti combattuto più di una guerra, e ha assalito chi la sfidava. Ciò nonostante, con alcuni avete poi fatto pace; e non vi recò alcun danno essere saggi. È ciò che ti propongo, Re Théoden: vuoi che fra noi vi sia pace e amicizia? Tocca a noi decidere”. 

Saruman tace sulla sua palese invasione di Rohan, capovolgendo completamente la realtà, come aveva fatto per anni; ma questa volta Thèoden non è più il vecchio curvo e prostrato, ma un uomo con gli occhi aperti, e ribatte senza esitazioni: “Sì, voglio la pace- disse ora con tono chiaro e deciso, e la avrò quando tu e tutte le tue opere sarete distrutti, insieme con le opere del tuo oscuro padrone al quale vorresti consegnarci. Sei un bugiardo, Saruman, e un corruttore di cuori. Mi tendi la mano, e scorgo un dito delle grinfie di Mordor. Freddo e crudele! Anche se la tua guerra contro di me fosse giusta (e non lo è, perché non hai il diritto di dominare me e la mia gente per il tuo profitto), anche se tu fossi dieci volte più saggio, come giustificheresti le torce accese nell’Ovestfalda ed i bimbi morti che giacciono lì? E perché tagliarono a pezzi il corpo di Háma dopo averlo ucciso avanti alle porte del Trombatorrione? Quando ti vedrò penzolare fuori della tua finestra appeso a una forca per il divertimento dei tuoi cari corvi, vi sarà la pace fra me ed Orthanc. Ho parlato per la Casa di Eorl. Sono un erede forse indegno di grandi antenati, ma non ho bisogno di leccarti le mani. Rivolgiti altrove. Ma temo che la tua voce abbia perduto il suo fascino”. 

Un discorso meraviglioso, pieno di passione e dolore, che benchè agli Uomini di Rohan, dopo la “musica di Saruman” la voce del loro Re sembri “aspra come il gracchiare di una vecchia cornacchia”, porta in dote con sè qualcosa di molto più giusto di una melodia piena di menzogne e propaganda: la verità.